"La più antica e potente emozione umana è la paura, e la paura più antica e potente è la paura dell’ignoto."
(Howard Phillips Lovecraft)
Questa semplice considerazione di uno dei maestri dell'horror ci offre un'idea chiara di cosa sia la paura: è una delle sensazioni di base più primordiale ed è regolata dal nostro paleoencefalo; migliaia di anni di selezione naturale l'hanno resa sempre più fulminea e automatica, tanto da scattare in frazioni di secondo al primo segnale di pericolo.
La sua funzione principale è quella di proteggerci, in modo analogo a quello che accade nel mondo animale: gli uccelli sono costantemente all'erta nell'ambiente circostante, tanto da poter scendere a terra per procurarsi il cibo, ma sono sempre pronti a spiccare il volo al primo segnale di minaccia.
È del tutto naturale avere paura di qualcosa che non conosciamo: ci tranquillizziamo solo dopo aver avuto prove sufficienti del fatto che siamo in grado di gestire la situazione temuta e che quella novità non rappresenta un pericolo per la nostra vita.
Se la paura naturale ci protegge da un pericolo attivando una reazione di fuga o di lotta, quella patologica ed eccessiva ci paralizza, ci fa fuggire in maniera scomposta o ci può far perdere il controllo di noi stessi, come nel caso estremo di un attacco di panico.
In tanti film horror vediamo sempre la stessa scena: c'è una vittima che fugge da un assassino che spesso per raggiungerla si limita a camminare con passo deciso. Una volta arrivata all'ingresso di un luogo sicuro chiuso a chiave, che sia una casa o un'auto, la vittima cerca di afferrare la chiave per aprire la serratura, ma l'estrema paura le fa tremare le mani, tanto da far cadere le chiavi a terra e consentire all'aggressore di raggiungerla e ucciderla.
Pensiamo ad una folla che deve uscire da un edificio in una situazione di emergenza: la troppa fretta di fuggire può portare le persone ad essere travolte o impossibilitate a mettersi in salvo, ed è proprio per evitare questo che nella maggior parte degli edifici aperti al pubblico vengono istallate apposite porte con maniglie antipanico.
Esempi come questi mostrano come una eccessiva attivazione fisiologica non solo impedisce di reagire correttamente di fronte ad un pericolo, ma anzi favorisce il diventarne preda o vittima.
La paura attiva reazioni fisiologiche quali l'aumento del battito cardiaco e del ritmo respiratorio, e questo ci prepara all'azione; si utilizza il termine ansia quando queste risposte fisiologiche si mantengono a lungo nel tempo e non si limitano alla semplice e rapida risposta allo stimolo che ci impaurisce.
L'ansia è dunque il correlato fisiologico della paura e diventa un problema patologico solo quando oltrepassa la soglia naturale, tanto da bloccarci, farci perdere il controllo oppure portarci a fughe disperate che spesso ci rendono ancora più vulnerabili.
Ma possiamo anche aver paura di perdere il controllo delle nostre reazioni fisiologiche per effetto di un'ansia molto elevata: dunque ansia e paura si influenzano a vicenda in maniera circolare, e se mal gestite possono portare a rigidità patologiche quali fobie o attacchi di panico.
Occorre fare una distinzione tra paure reali e paure immaginarie: le prime sono relative a pericoli presenti ai quali dobbiamo necessariamente reagire, mentre le seconde sono relative al futuro, a qualcosa che potrebbe accadere.
Il pensiero fobico patologico si irrigidisce nella convinzione che qualora affrontassimo quel che temiamo sicuramente avremmo esiti dannosi o negativi; non ci sono eccezioni, non è contemplato il fatto che si possa affrontare con successo la situazione che ci fa paura. Tutto andrà male e dunque l'unica soluzione è proseguire nello stare il più lontani possibile da quel che ci spaventa.
Esistono tante paura quante se ne possano inventare: è sufficiente porre l'attenzione in maniera rigida e persistente su un possibile pericolo, e la scelta di evitarlo farà progressivamente aumentare la nostra paura.
Avere paura dei serpenti in campagna è naturale, ma lo è decisamente meno il temere le lucertole tanto da non uscire più di casa; oppure abitando in città è comprensibile provare fastidio per gli stormi di piccioni, ma questo diventa un problema invalidante se per evitarli limitassimo drasticamente i nostri spostamenti quotidiani.
In questi due casi l'ansia deriva dall'essere costantemente in allerta per mantenersi ben lontani da lucertole o piccioni, ma purtroppo così facendo ogni ombra in movimento diventerà ben presto per la nostra mente il segnale del loro arrivo.
Le soluzioni disfunzionali più comuni di fronte alla paura consistono in evitamento, richiesta di aiuto e controllo delle proprie sensazioni: dunque fuggiamo o ci manteniamo a distanza dalla situazione che ci impaurisce, richiediamo supporto agli altri, anche delegando a loro il doverla affrontare, oppure ci concentriamo sulle nostre sensazioni per farci forza, per calmarci, ottenendo purtroppo l'effetto contrario.
Si tratta di reazioni che apparentemente nell'immediato ci pongono al riparo dai pericoli, ma che a lungo termine aumentano la paura e il nostro senso di incapacità.
Immaginiamo a quale picco di panico possa portarci una situazione temuta nella quale tali soluzioni non fossero praticabili: non è possibile fuggire, non c'è nessuno che ci aiuti, e cercare di mantenere la calma ci fa sentire ancora di più il cuore battere all'impazzata, il respiro affannarsi fino a farci mancare l'aria e il sudore colare lungo la schiena. Si tratta della classica escalation di sensazioni esplosive che possono culminare con un attacco di panico.
La Terapia Breve Strategica individua due principali varianti di sistema percettivo reattivo associate all'attacco di panico, che differiscono in base alle tentate soluzioni disfunzionali adottate per combattere la paura: i soggetti fobici tendono maggiormente a evitare le situazioni che temono, chiedono continuamente aiuto agli altri e parlano costantemente della propria paura, mentre i fobici-ossessivi hanno una maggiore tendenza al controllo delle proprie sensazioni, al cercare di ridurre l'ansia quando comincia a salire, oltre che al controllare con estrema precisione i propri spostamenti, limitandoli a pochi luoghi definiti sicuri.
Per effetto dell'evitamento i fobici puri non vivono quasi mai l'esperienza di situazioni nelle quali sono stati capaci di affrontare la situazione temuta; questo la rende ancora più spaventosa, tanto da rafforzare la scelta di evitarla.
Nel caso dei fobici-ossessivi il tentativo di controllo volontario delle sensazioni corporee, che per natura sono automatiche e involontarie, porta ad aumentarle di intensità per effetto del noto paradosso del "sii spontaneo": più cercano di produrre sensazioni di calma ragionando, più corpo e mente emotiva si ribellano, aumentano la sensazione di allarme.
Vi sono inoltre persone che hanno già sperimentato in passato crisi di ansia o attacchi di panico, e che soffrono la paura della paura: temendo di perdere il controllo si allarmano per qualsiasi sensazione di attivazione, anche se naturale e utile. È il caso di un soggetto che evita di camminare in salita poiché al primo segnale di aumento del battito del cuore pensa subito che stia per arrivare il panico. Il nostro cuore varia continuamente e automaticamente il proprio ritmo in base alla situazione che stiamo affrontando, dunque prestarvi eccessiva attenzione implica condannarsi all'ansia per gran parte della giornata, persino quando inevitabilmente batterà più forte in presenza di una novità piacevole e positiva.
Una cura stabile e definitiva dei disturbi fobici o di panico non può consistere solo nella sedazione dell'ansia mediante tecniche di rilassamento o l'utilizzo di farmaci, poiché in tal modo si riducono solo le reazioni fisiologiche dei pazienti, ma non viene modificata la loro percezione di paura.
Qualora un farmaco sia particolarmente efficace il soggetto si sentirà ingessato di fronte alla situazione che teme, ancor meno pronto ad agire, ma comunque impaurito. Inoltre la paura lo porterà a proseguire nell'evitamento, tanto da limitare fortemente la sua vita, anche in assenza di attacchi di panico.
Ancor meno funziona il ragionare sulle paure per farsi coraggio: essendo questo un processo razionale può funzionare solo quando la situazione spaventosa è immaginata, ma di fronte al pericolo temuto il nostro paleoencefalo si attiverà comunque immediatamente, senza alcuna possibilità per il ragionamento razionale di impedirlo.
Non offre grande aiuto neppure il ricevere supporto dagli altri: parlare costantemente della propria paura la rende sempre più grande e presente, e il ricevere sostegno conferma alla nostra mente che da soli non saremmo capaci di gestire la situazione che ci impaurisce, rendendoci ancora più insicuri e ansiosi.
Se si vuole uscire dalla trappola del circolo vizioso dell'evitamento occorre partire da una semplice evidenza scritta secoli fa su una antica tavoletta sumera: " la paura affrontata diventa coraggio ".
Alla quale noi aggiungiamo come corollario: " quella evitata diventa panico ".
Forme di fronteggiamento della paura sin dall'età infantile sono sempre state presenti nelle fiabe, basti pensare alle opere dei Fratelli Grimm: immedesimandosi in storie con situazioni spaventose i bambini venivano educati al fortificarsi toccando i propri fantasmi in modo da farli sparire.
La Terapia Breve Strategica ha sviluppato protocolli di intervento specifici per cambiare la percezione del paziente rispetto alla realtà che lo spaventa, e interviene dunque direttamente sulla sensazione di paura. Questo riporta le risposte fisiologiche del soggetto fobico entro una soglia gestibile, tanto da consentirgli di procedere a piccoli passi nell'evitare di evitare le situazioni che un tempo erano terrorizzanti; avere prove che è possibile affrontarle senza necessità di aiuto trasforma progressivamente la paura in coraggio.
Un protocollo di intervento è strutturato in quattro fasi, dal primo incontro fino alla chiusura delle terapia, e nella maggior parte dei casi si esaurisce entro le 10 sedute. Implica semplici prescrizioni di azioni o pensieri che vanno eseguite tra un incontro e l'altro, testate con successo su migliaia di casi già trattati negli ultimi quaranta anni di ricerca-intervento.
Attraverso la guida del terapeuta il paziente sente che finalmente può affrontare la sua paura senza perdere il controllo, e questa iniziale esperienza emozionale correttiva viene poi rafforzata da altre graduali esperienze di fronteggiamento delle situazioni un tempo temute, in modo da consolidare i risultati ottenuti.
L'obiettivo finale è quello di rendere il paziente finalmente capace di gestire la realtà che lo spaventa con le proprie forze, accompagnato da una paura sana che lo prepara all'azione e lo protegge, e non più da una paura patologica che lo intrappola.
"Un giorno la paura bussò alla porta. Il coraggio andò ad aprire e non trovò nessuno."
(Martin Luther King Jr)
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Per approfondire:
Giorgio Nardone - Il libro delle fobie e la loro cura
Giorgio Nardone - Paura, panico, fobie
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