"Un allenatore è qualcuno che ti dice quello che non vuoi sentire, ti fa vedere quello che non vuoi vedere, in modo che tu possa essere quello che hai sempre saputo di poter diventare" - Tom Landry



Migliorarsi costantemente è l'obiettivo che accomuna l'atleta e il proprio allenatore, e poichè ostacoli o limiti sono del tutto inevitabili lungo il loro cammino, è naturale ricercare soluzioni per oltrepassarli. Qualora queste ultime funzionino siamo di fronte a difficoltà superabili che porteranno ad una ulteriore crescita personale. Qualora non portino al risultato sperato si forma un problema, ossia una situazione bloccata della quale non si conosce la soluzione: in questo caso le soluzioni inefficaci non sono solo inutili, ma contribuiscono persino a rendere l'ostacolo impossibile da superare.

Non necessariamente atleta e allenatore si trovano sempre in sintonia su quel che occorre fare per risolvere un problema: questo può portare a complicare ulteriormente la situazione, oltre a pregiudicare quel rapporto di reciproca fiducia necessario per seguire un programma di allenamento.


In questo articolo vedremo alcuni esempi di come si effettua un'analisi strategica delle tentate soluzioni in ambito sportivo, quali siano le loro tipologie di classificazione, e come questo possa aiutare gli sportivi nel superare difficoltà in allenamento e in gara.

Nei contributi successivi vedremo invece come si analizzano incapacità evolute, primarie e relative emozioni coinvolte, lavoro necessario per impostare un corretto intervento strategico su un blocco di performance.


Il Coaching Strategico è uno modello utilizzato nell'ambito della Scienza della Performance che consente di individuare quali soluzioni siano efficaci per superare un blocco o un limite in ambito sportivo, quali invece siano da evitare, e individua con precisione il tipo di incapacità al momento presente che limita la possibilità di crescita della prestazione.

Attraverso lo strumento del Dialogo Strategico l'esperto in Scienza della Performance formula domande a illusione di alternativa che consentono ad atleta ed allenatore di comprendere il funzionamento del problema in atto, e una volta scartate le soluzioni disfunzionali si procede nel trovarne di alternative efficaci.

Il ruolo dello Psicologo dello Sport in questo caso è di guida nel processo di analisi e soluzione; non fornisce soluzioni preconfezionate che vanno a rivoluzionare il programma di allenamento, e sono atleta e istruttore a costruire su misura il percorso più adatto in base alle loro esigenze.

Percorso che deve essere non solo efficace per superare il limite di prestazione, ma anche efficiente dal punto di vista delle risorse richieste; in ogni disciplina è infatti evidente quanto sia importante conservare il più possibile le proprie energie, in modo da spenderle quando maggiormente occorre, senza alcuno spreco.


Come primo passo occorre verificare se le soluzioni che non stanno funzionando sono scelte, spontanee o subite.


Scegliamo di fare qualcosa quando ragionando riteniamo che sia una buona idea metterla in atto, senza che vi siano pressanti spinte emotive che ci condizionino nella scelta: ad esempio un tennista può sentirsi particolarmente forte da fondo campo, e per questo sceglie come strategia di gara di andare sempre a rete il meno possibile, oppure un allenatore può proseguire nell'usare un metodo di preparazione atletica che ritiene valido, anche su atleti che tuttavia non mostrano di migliorare rapidamente con quegli esercizi.

Quando riteniamo giusta una soluzione la nostra tendenza è quella di insistere nell'utilizzarla anche quando non porta ai risultati sperati; pensiamo che non funziona perchè non la stiamo applicando con la dovuta forza e perseveranza.

Si tratta di una logica piuttosto comune, analoga a quando riteniamo erroneamente che il coperchio di un barattolo vada svitato in una certa direzione, e continuiamo a girarlo con forza anche se il verso è sbagliato, fino a incastrare ulteriormente il coperchio, tanto da renderne impossibile l'apertura.


Facciamo qualcosa spontaneamente quando assecondiamo quel che ci viene naturale fare, spesso sotto una spinta di tipo emotivo. La risposta è automatica, e se non sta funzionando ci troviamo a sospirare: "so che non si dovrebbe fare in questa maniera, ma è più forte di me, mi viene così !".

Un giocatore, quando la propria squadra è in svantaggio, preso dall'ansia di recuperare il punteggio può tendere a sbilanciarsi troppo in attacco, lasciando scoperta la sua zona di campo.

Uno schermidore poco esperto, per paura di ricevere i colpi, può andare troppo indietro di fronte agli attacchi dell'avversario, rendendo impossibile la parata e risposta.

Un pugile può aver ben chiara la strategia del rimanere in guardia e conservare le forze per i round successivi, ma la rabbia causata dalle provocazioni dell'avversario lo può portare ad attaccare più del dovuto.


Subiamo una soluzione disfunzionale quando siamo per qualche motivo costretti ad attuarla, anche se riteniamo che sia sbagliata.

Un giocatore può essere costretto a privilegiare l'azione personale poiché per dissidi interni allo spogliatoio viene boicottato in campo da compagni non collaborativi.

Il secondo pilota di una scuderia di Formula 1 può essere costretto a perdere il primo posto perché dai box gli viene ordinato di far passare avanti il proprio compagno di scuderia.

Un allenatore può avere problemi nella preparazione atletica degli allievi poiché il proprietario della palestra decide di ridurre i giorni di allenamento del suo corso.


Ognuna di queste tipologie di soluzioni richiede un tipo di intervento specifico, altrimenti sarà fallimentare.

Ad esempio se un atleta sa già che una decisione è sbagliata, ma per paura non riesce ad evitare di attuarla, servirà a poco spiegargli di nuovo che è sbagliata. Viceversa se ritiene erroneamente di essere sulla strada giusta diventerà fondamentale mostrare che la sua scelta porterà al fallimento.

Se una soluzione fallimentare è subita occorrerà invece eliminare quella forma di costrizione, o qualora si tratti di un dato di fatto non modificabile andrà trovato un modo per aggirare l'ostacolo.


Come secondo passo nel processo di Coaching Strategico occorre verificare a quale livello le soluzioni disfunzionali non stanno funzionando, ossia: a livello strategico, di comunicazione o relazione.


A livello strategico occorre individuare gli obiettivi del proprio agire e predisporre le azioni e le tattiche da utilizzare per raggiungerli; anche se un atleta ha ben chiaro che vuole ottenere la vittoria in una gara, non è detto che disponga anche di un piano efficace per ottenerla.

Un pugile ad esempio potrebbe scegliere erroneamente di proseguire nella sua strategia molto aggressiva di attacco anche contro un avversario straordinario nell'incassare i colpi, ponendosi in tal modo in una posizione di svantaggio.

Un allenatore potrebbe utilizzare un modulo di gioco non adatto a fronteggiare una determinata squadra avversaria.


Quando la strategia elaborata è corretta, non è detto che lo sia anche la sua esecuzione, oppure il modo di comunicarla.

Un calciatore può avere perfettamente chiara la difesa a zona richiesta dal proprio allenatore in allenamento, ma quando è in campo non è detto che sia in grado di applicarla correttamente.

Un allenatore può dare le migliori indicazioni possibili ai propri giocatori, ma se lo fa urlando e prendendoli a male parole non è detto che ottenga collaborazione da tutti quanti.


A livello di relazione abbiamo soluzioni fallimentari quando non siamo in grado di gestire il nostro rapporto con gli altri, spesso per ragioni di tipo emotivo.

Un atleta con una carriera di successo alle spalle potrebbe entrare in conflitto con un nuovo preparatore tecnico più giovane, tanto da contestare le sue indicazioni.

Un ottimo giocatore potrebbe avere abitualmente un pessimo atteggiamento con gli arbitri, tale da renderli più rigidi nei suoi confronti.


È evidente come ogni livello richieda un tipo di intervento differente: a livello strategico occorre stabilire un piano di azione più efficace per risolvere il problema, a livello di comunicazione va mantenuta la rotta modificando il modo in cui viene attuata in pratica la propria strategia, a livello relazionale occorre modificare il proprio rapporto con gli altri.

Effettuare un intervento al livello sbagliato risulta inefficace, come quando un allenatore perde ore a spiegare per l'ennesima volta il modulo di gioco ai giocatori che non lo stanno eseguendo correttamente, senza rendersi conto che la strategia è ben chiara a tutti, ma i giocatori stanno volontariamente scegliendo di boicottarsi a vicenda per dissidi interni allo spogliatoio.


Avere un'idea chiara di quali siano le tentate soluzioni disfunzionali costituisce la prima fase di un intervento di Coaching Strategico; avremo modo di vedere le successive nei prossimi articoli.

Quel che è evidente fin da adesso è quanto sia importante focalizzare l'attenzione su quel che non sta funzionando, sugli errori commessi, che vanno considerati non come incidenti di percorso da scartare, ma come preziose fonti di informazione dalle quali partire per aprire al cambiamento.


"L’errore ci dona semplicemente l’opportunità di iniziare a diventare più intelligenti" - Henry Ford


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" Grazie al Coaching Strategico accompagno l'atleta o l'allenatore nello scoprire quali siano i limiti e le difficoltà mentali ed emotive durante le gare o l'allenamento, quali soluzioni stiano funzionando e quali siano invece da evitare, e costruiamo insieme un percorso di crescita personale su misura per le sue capacità, necessità e obiettivi da raggiungere. "