" Non dovresti mai alzare le tue mani per primo contro l’avversario. E comunque la tua intenzione non dovrebbe essere quella di uccidere o ferire il tuo avversario, ma solo di bloccare il suo attacco. Se poi questi dovesse continuare, allora dovresti assumere una posizione che gli faccia chiaramente comprendere che sarebbe meglio per lui desistere. " Gichin Funakoshi

L'insegnamento delle arti marziali ha da sempre considerato la capacità di parare i colpi dell'avversario come fondamentale e prioritaria rispetto al saper attaccare.
Nell'Arte della Guerra Sun Tzu arriva a scrivere che il miglior modo di ottenere una vittoria è vincere senza combattere: " ottenere cento vittorie su cento battaglie non è il massimo dell’abilità: vincere il nemico senza bisogno di combattere, quello è il trionfo massimo ".

Si tratta di un principio ben noto nel mondo animale: quando in un branco di leoni due maschi si affrontano per stabilire chi sia il leader dominante, cominciano a fronteggiarsi, ruggiscono per mostrare la loro forza, studiano il rivale, e nella maggior parte dei casi sono sufficienti pochi assalti per far sì che uno dei due comprenda la propria debolezza e si sottometta, senza dover arrivare ad uno scontro all'ultimo sangue.
Un comportamento del genere è del tutto logico, visto che nel caso di uno scontro violento il vincitore potrebbe risultare comunque ferito in maniera grave, ed anche non morendo per le ferite sarebbe comunque debole e inadatto al ruolo di capobranco.

Qualcosa di simile avviene in Asia quando in un bosco un cobra ed una tigre incrociano il loro cammino.
Tutti e due sono ben consapevoli di quanto possa essere pericoloso per entrambi uno scontro; si limitano dunque a tenersi d'occhio, per poi procedere ognuno lungo il proprio sentiero.

Nei casi in cui un'arte marziale venga utilizzata nella competizione sportiva questo principio del dare la priorità alla difesa deve fare i conti con il tipo di regolamento e di punteggio utilizzato per assegnare la vittoria, e viene inevitabilmente messo in discussione.
Ad esempio a seconda della disciplina che si pratica il punteggio viene assegnato ad alcuni colpi ma non ad altri, come nel caso del Karate e del Kendo, e gli atleti ben presto adattano il proprio modo di allenarsi a preparare le gare a questo regolamento, migliorando solo i colpi più efficaci per arrivare alla vittoria.
Se si leggono i trattati di scherma rinascimentali il non essere feriti era il primario obiettivo durante un duello, mentre nell'ambito della Scherma sportiva, dove vince l'assalto il primo a compire l'avversario, con tanto di misurazione mediante sensori elettronici, questo viene messo in secondo piano, e uno schermidore è vincitore anche se l'avversario è più volte arrivato a bersaglio una frazione di secondo dopo di lui.

Per alcuni atleti l'attacco diventa un modo per percepire un senso di sicurezza, e gli offre la sensazione di avere lo scontro sotto il proprio controllo; viceversa stare sulla difensiva porta a sentire sulla pelle tutta l'ansia del dover contrastare gli attacchi dell'avversario, e dà ad alcuni una illusoria percezione di inferiorità.
Se questa strategia comunemente nota come " la miglior difesa è l'attacco " può funzionare, in alcuni casi diventa tuttavia un limite che rende del tutto impossibile la vittoria.

Prendiamo in esame il caso di una atleta di Karate che anni fa effettuò un percorso di Coaching Strategico per risolvere un problema che stava limitando significativamente le sue prestazioni in gara.

Forte fisicamente e con una ottima preparazione tecnica impostava le proprie gare cercando di sottomettere da subito il proprio avversario, con attacchi continui, agili e veloci.
I problemi emergevano quando si trovava di fronte ad avversarie più veloci e potenti che impostavano l'incontro con la stessa strategia: in quei casi sentiva rapidamente salire l'ansia quando si trattava di porsi in difesa, e l'insicurezza la portava a perdere il controllo, tanto da non riuscire a parare colpi che in allenamento era in grado di neutralizzare senza problemi.

Se normalmente si sentiva una tigre pronta a divorare l'avversaria, in quelle situazioni diventava un gattino impaurito.

Analizzando la sua incapacità con il modello di Coaching Strategico si evidenziava una incapacità di base di non reagire, ossia la tendenza a dover continuamente agire attaccando per sentire di avere il controllo dell'incontro, con una sensazione di base di paura, e relativa reazione fisiologica di ansia, che saliva quando si trovava a dover attendere i colpi in difesa.
Essendo comunque abile nel parare in allenamento, la sua incapacità a livello più evoluto era di tipo stategico, ossia era causata dalla scelta di impostare tutto l'incontro in modalità offensiva.
Qualora avesse invece avuto anche difficoltà pratiche nel parare saremmo stati di fronte ad una incapacità evoluta all'azione, e sarebbe stato necessario per prima cosa migliorare questa abilità in allenamento.

Dal punto di vista strategico non necessariamente si sta guidando un incontro se si sottomette un avversario con la propria tattica offensiva: specialmente se l'altro è molto abile nel contrattaccare questo può diventare una trappola, nella quale ci infiliamo con le nostre stesse gambe.
Il combattente strategico conduce l'incontro portando l'avversario nel proprio territorio, ossia in una posizione o situazione che sia per lui di vantaggio e per l'avversario sfavorevole; ad esempio costringendolo a dover eseguire azioni che padroneggia meno bene di altre.
Se siamo di fronte ad uno schermidore molto bravo nel parare e rispondere, ma meno allenato nell'attaccare di prima intenzione, provocarlo in modo da indurlo ad attaccare significa guidare l'incontro in una direzione per noi più vantaggiosa, anche se dall'esterno può sembrare erroneamente che sia l'altro a condurre il gioco.

Per recuperare fiducia nelle proprie capacità di difesa e ridurre l'ansia che la portava a perdere lucidità e controllo, fu prescritto alla karatèka di applicare nuove regole durante l'allenamento: qualunque attacco di prima intenzione non avrebbe totalizzato alcun punto, e gli unici colpi validi sarebbero stati quelli portati dopo aver parato.
Nello specifico occorreva procedere allenando tutte le tre tipologie dei tempi del parare, che nei trattati di scherma sono definiti come tempi schermistici, in tre momenti di sparring differenti:

  • Parata e risposta : consiste nell'attaccare dopo aver neutralizzato il colpo dell'avversario, e il punto viene assegnato soltanto dopo aver prima parato il colpo dell'avversario, portando in seguito un attacco efficace.
  • Tempo insieme : in questo caso attacco e parata devono avvenire nello stesso momento, e il punto viene assegnato dopo un attacco portato a bersaglio contemporaneamente alla parata del colpo dell'avversario.
  • Mezzo tempo : si tratta di neutralizzare il colpo dell'avversario colpendolo prima che il suo attacco possa divenire efficace, e il punto viene assegnato portando con successo un attacco sull'avversario, ma una frazione di secondo dopo che quest'ultimo abbia effettuato il suo attacco, in modo da colpirlo durante il suo movimento offensivo, senza essere colpiti.

Se la prima tipologia di tempo è ben nota, le altre due possono essere meno chiare; per avere una idea migliore del funzionamento è utile analizzare uno dei pochi video di sparring di Bruce Lee, nel quale fa ampio uso in particolare del mezzo tempo.
Nei suoi scritti non a caso sottolineò più volte che aveva elaborato il suo stile del Jeet Kune Do studiando trattati di arti marziali non solo orientali, inclusi quelli della scherma europea.

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Dopo aver praticato assiduamente questo nuovo metodo di allenamento la karatèka fu finalmente in grado di padroneggiare una strategia di difesa efficace, senza più sentirsi insicura, e imparò ad attendere l'azione dell'avversaria in tutte le situazioni che lo richiedevano, senza essere schiacciata dall'ansia.

Come si vede utilizzare il modello di Coaching Strategico per definire in maniera precisa quale sia l'incapacità che frena un atleta consente di intervenire sulle difficoltà in maniera chirurgica e senza stravolgere l'abituale routine di preparazione alle gare, apportando all'allenamento solo le piccole modifiche necessarie per superare i propri limiti.

Come nella vita, anche in combattimento la paura affrontata con successo diventa coraggio.

" Un colpo di karate dovrebbe restare come un tesoro nella manica. Non dovrebbe essere usato senza discernimento. " - Chotoku Kyan

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" Grazie al Coaching Strategico accompagno l'atleta o l'allenatore nello scoprire quali siano i limiti e le difficoltà mentali ed emotive durante le gare o l'allenamento, quali soluzioni stiano funzionando e quali siano invece da evitare, e costruiamo insieme un percorso di crescita personale su misura per le sue capacità, necessità e obiettivi da raggiungere. "