Oltre l'80% delle scelte che facciamo in ambito economico dipendono dalle nostre emozioni, piuttosto che da complicati ragionamenti. Questa è stata la scoperta dei premi Nobel per l'economia Daniel Kahneman e Richard Thaler, rispettivamente nel 2002 e nel 2017.
Si tratta di qualcosa che chiunque sperimenta abitualmente sul proprio posto di lavoro.
Teoricamente il capo e i colleghi dovrebbero operare professionalmente, basandosi su logiche razionali, che portano a scegliere di massimizzare il profitto riducendo i costi; ma nella pratica aspetti emotivi e relazionali prendono il sopravvento, trasformando la giornata lavorativa in una lotta continua.
Molti dipendenti pensano che si potrebbe fare tutto più velocemente e meglio, logicamente dal proprio punto di vista; invece ogni giorno si trovano sempre qualche ostacolo che rende questo impossibile, anche quando è palese che un certo modo di gestire l'ambiente lavorativo stia producendo rallentamenti e cali di fatturato.
Questo vale sia quando ci troviamo di fronte a problematiche altrui, sia quando dobbiamo fare i conti con le nostre.
Può accadere dunque che il capo contrasti le intuizioni del dipendente, perchè non sopporta che qualcuno al di sotto di lui abbia idee migliori delle proprie, oppure che diventi per noi del tutto impossibile collaborare con un collega che lavora correttamente, ma che troviamo antipatico. Oppure possiamo avere in mano la soluzione per risollevare la nostra attività lavorativa, ma è troppo doloroso e faticoso per noi metterla in pratica, pur sapendo che sarebbe la scelta migliore.
Il Coaching Strategico è un modello di problem solving applicato alle incapacità individuali, ed ha la funzione di migliorare i talenti personali e di sbloccare i propri limiti di performance. Applicato in ambito lavorativo consente di migliorare il proprio rendimento e la propria efficacia, ed è utilizzato da anni in più ambiti operativi: si va dai top manager che intendono potenziare le proprie capacità in vista di un importante premio di produzione, ai lavoratori che vogliono ridurre lo stress legato al rapporto con i colleghi, fino ai piccoli imprenditori che vorrebbero aumentare la produttività dei propri dipendenti.
L'intervento viene realizzato sugli obiettivi specifici del cliente, e qualora vi sia la necessità di una programmazione più specifica per la propria attività imprenditoriale o manageriale viene affiancato al modello di problem solving per sistemi complessi.
Il processo di coaching parte dall'analisi delle tentate soluzioni disfunzionali, ossia di tutte le azioni già messe in atto dal cliente in passato, che non lo hanno portato a raggiungere il proprio scopo di crescita, personale o lavorativa.
Le ricerche di Paul Watzlawick hanno dimostrato infatti come i problemi siano spesso impossibili da risolvere a causa delle nostre soluzioni fallimentari messe in atto e reiterate nel tempo.
Ognuno di noi ha sperimentato questo almeno una volta nella vita, quando ad esempio nello svitare il coperchio di un barattolo ha invertito per sbaglio il verso di rotazione: più si insiste nel girarlo, più lo si blocca fino a rendere impossibile l'apertura, a meno di non utilizzare attrezzi specifici.
Una soluzione che abbiamo in mente per migliorare il nostro lavoro non è necessariamente corretta poiché ha funzionato in passato; potrebbe ad esempio essere ottima in un contesto e pessima in un altro: ad esempio nel caso di un venditore, un modo di approcciare il cliente può essere ottimo per un target di giovani, ma inefficace su clienti più anziani.
Inoltre una soluzione potrebbe essere efficace, ma impossibile da mettere in pratica, ad esempio se un capo ha le idee chiare su come operare, ma non è in grado di persuadere i propri dipendenti a seguire correttamente le proprie indicazioni.
Il processo di coaching strategico individua con precisione quali siano le soluzioni disfunzionali in atto, quali siano invece quelle che in passato hanno funzionato, e che vanno dunque mantenute, e a quale livello stiano operando: strategico, di comunicazione, di relazione.
Questo consente di impostare il successivo intervento apportando cambiamenti nel livello corretto, senza procedere per tentativi ed errori, e senza la necessità di rivoluzionare completamente il modo di lavorare del cliente: viene potenziato quel che funziona, e tolto solo quel che crea ostacoli alla realizzazione dei propri obiettivi.
Successivamente vengono prese in esame le incapacità individuali che impediscono o rendono difficoltoso il percorso di crescita del cliente; anche in questo caso valutandone attentamente la tipologia. Spesso infatti non siamo in grado di migliorare noi stessi poiché abbiamo solo una vaga idea su cosa non stia funzionando, ma non abbiamo ben chiaro quali siano i nostri blocchi specifici.
Per comprendere il funzionamento delle nostre principali incapacità evolute è opportuno schematizzarle con alcuni esempi.
Incapacità strategica: il cliente non è a conoscenza di una corretta soluzione per il proprio problema.
Un negoziante ad esempio vorrebbe attirare una clientela più giovane nel proprio negozio di abbigliamento, ma non ha idea di come fare.
In questi casi si procede utilizzando modelli di coaching e problem solving per sviluppare un programma di azione strutturata che guidi passo dopo passo all'obiettivo finale.
Incapacità all'azione: il cliente ha già chiara la soluzione, ma non è in grado di metterla in pratica. Pensiamo ad un manager che ha in mente cosa dire al proprio capo, ma abitualmente tende a rimandare la riunione poiché ha timore di non essere in grado di affrontare la discussione efficacemente.
Incapacità alla costanza: il cliente è capace di applicare la soluzione, ma non riesce a mantenerla per tutto il tempo necessario.
Si tratta del caso dell'impiegato che per alcune settimane modifica il proprio comportamento verso i colleghi, e riesce finalmente a renderli più collaborativi, ma alla lunga perde la pazienza e riprende a contrastarli come faceva prima.
Incapacità gestionale: il cliente è in grado di applicare una soluzione corretta per tutto il tempo necessario, ma non riesce a gestirne gli effetti.
Questo ad esempio avviene in una situazione particolarmente temuta e ben nota in ambito aziendale, dove più studi confermano che una crescita di fatturato troppo elevata nel corso di un anno, oltre il 15%, specialmente in piccole attività imprenditoriali a livello familiare, porta poi l'azienda ad implodere, poiché non si è in grado di reggere gli inevitabili cambiamenti organizzativi necessari per gestire il maggior carico di lavoro.
Non aver chiara la tipologia di incapacità evoluta fa fallire inevitabilmente qualsiasi modello di decision making che vada ad agire al livello sbagliato: un consulente poco esperto potrebbe ad esempio proporre un ottimo piano di azione, ma del tutto inefficace qualora il proprio cliente non sia in grado di metterlo in pratica.
Esiste inoltre un ulteriore livello di analisi delle incapacità, che riporta il processo di coaching strategico a quanto già dimostrato da Kahneman e Thaler: a livello meno evoluto ognuno di noi costruisce i propri limiti su incapacità di base, legate alle nostre più primite sensazioni di rabbia, dolore, paura e piacere.
Se non si impara a gestirle, inevitabilmente le subiremo nei loro aspetti più nefasti.
Vediamo di schematizzare con alcuni esempi questa tipologia di incapacità di base; decisamente meno evolute a livello di organizzazione, ma profondamente radicate nelle nostre emozioni più primitive.
Incapacità di reagire: dovremmo far qualcosa, ma siamo bloccati e non ci riusciamo.
Un dipendente sa che è giunto il momento di chiedere un aumento al proprio capo, ma per paura della sua reazione non riesce a farlo.
Incapacità di non reagire: una nostra azione è controproducente, ma non riusciamo a controllarci e proseguiamo nel metterla in atto.
Ad esempio capita frequentemente che un principale sia odiato dai propri dipendenti perchè li rimprovera continuamente, ma pur vedendo che questo non porta a maggiore collaborazione, è talmente arrabbiato con loro che non riesce ad evitare di farlo.
Incapacità di sentire: si ha quando un nostro blocco emotivo ci impedisce di vedere la realtà per quello che è. Questo costruisce un pericoloso autoinganno che rende impossibile la soluzione di un problema, perchè non lo si riesce a percepire come tale.
Ad esempio un manager potrebbe giudicare del tutto accettabile una riduzione di fatturato, motivandola attraverso contingenze esterne all'azienda, poiché è troppo doloroso per lui ammettere di aver sbagliato completamente gli investimenti fatti.
Senza una attenta analisi delle nostre incapacità è impossibile trovare una soluzione rapida ad un problema organizzativo, e questo spiega per quale motivo alcuni metodi di decision making risultino inefficaci o scarsamente efficienti nel produrre risultati.
Facciamo un esempio di una situazione molto comune in ambito lavorativo: abbiamo due capi, in due contesti diversi, un manager e un piccolo imprenditore, che abitualmente intervengono per bloccare ogni iniziativa di innovazione da parte dei propri dipendenti, valutandola sempre come sbagliata, benchè sulla carta si tratti di idee del tutto funzionali.
Più i dipendenti cercano di convincerli del fatto che alcuni cambiamenti renderebbero il lavoro migliore, più i capi contrastano le loro idee affermando che sono del tutto irrealizzabili.
Apparentemente si tratta della stessa situazione messa in atto in contesti produttivi diversi, ma un'analisi delle incapacità mostra che i meccanismi che ne spiegano il funzionamento sono del tutto differenti.
Il manager è un soggetto autoritario, che ha ottenuto in passato significativi successi nel proprio lavoro, e che per questo ritiene di avere le idee chiare su cosa sia giusto o sbagliato fare nel presente. Non sopporta che vi siano dipendenti che propongano nuove idee e richiedano deleghe per applicarle, perchè sente che questo è un modo per sostituirsi a lui, criticandone l'operato; ogni loro idea viene da lui vista e valutata come pessima, e per effetto di questo non può fare a meno di riprendere i dipendenti in modo rabbioso ed autoritario, al fine di rimetterli in riga.
Il piccolo imprenditore ha un negozio con due commessi, ed è molto preciso nel proprio lavoro; cerca di avere tutto sotto controllo, e teme di perderlo modificando le attuali regole. Ha seguito in passato alcuni consigli dei dipendenti, notando un aumento di clienti, ma ha paura che maggiori innovazioni possano richiedere ulteriori assunzioni e investimenti. Quando i commessi propongono nuove idee l'ansia lo porta a tagliare subito la discussione, e se insistono non gli resta che alzare la voce.
Come si vede si tratta di due situazioni che funzionano in modo del tutto differente, benchè possano sembrare simili.
Nel primo caso si tratta di una incapacità di sentire, ossia di vedere come funzionali le idee altrui, che si traduce in una incapacità di considerare la delega come strategicamente utile; questo sulla base della sensazione di rabbia verso un atteggiamento dei dipendenti che il manager sperimenta come un conflitto di ruoli.
Nel secondo caso si tratta di incapacità di reagire agli inevitabili cambiamenti organizzativi richiesti da una economica in continuo mutamento, e quindi di una relativa incapacità di rimanere costante nell'innovare; il tutto sulla base di una paura dell'impreditore rispetto al dover fare ulteriori investimenti, senza avere la certezza al 100% che porteranno ad un maggiore guadagno.
Per intervenire con successo occorre comprenderne le differenze, altrimenti si rischia di applicare una soluzione identica per entrambi i casi, ma che risulterà scarsamente efficace: il manager dovrà lavorare sulla propria incapacità di delegare, l'imprenditore sulla paura di affrontare situazioni future che non possono essere preventivamente sotto il suo completo controllo.
Dopo aver individuato i livelli di incapacità diventa possibile intervenire prescrivendo specifiche indicazioni su cosa fare o evitare di fare per gestire il problema presente.
Nel coaching strategico non esistono infatti soluzioni standard che vanno bene per qualunque situazione: occorrono tecniche specifiche che vengono cucite sull'originalità della situazione problematica in atto.
Attraverso un numero ridotto di incontri successivi si valutano i risultati ottenuti e si guida il cliente verso il raggiungimento del proprio obiettivo di crescita.
Il cambiamento è inevitabile nella vita: per la teoria dell'evoluzione la fissità porta inesorabilmente alla morte.
Charles Darwin ha infatti dimostrato come gli esseri viventi vengano costantemente selezionati dal proprio ambiente, che favorisce le modifiche del dna che risultato essere più funzionali alla loro sopravvivenza.
Se negli animali questo meccanismo viene messo in atto maggiormente a livello biologico, l'uomo ha maggiori possibilità di scelta, grazie a strumenti tecnologici e culturali che si sono a loro volta evoluti nel tempo.
Ogni giorno possiamo scegliere se incamminarci in un percorso di cambiamento, che ci faccia migliorare le nostre capacità di adattamento rispetto alla complesse sfide del mercato del lavoro, oppure possiamo rimanere fermi; situazione inizialmente più rassicurante, ma che col passare del tempo ci porterà a subire gli effetti nefasti di tutti i nostri limiti personali.
Come diceva Winston Churchill: "migliorare significa cambiare, essere perfetti significa cambiare spesso".